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Perché pratichiamo?

Davide Cisotto e Federica Di Salvatore • set 30, 2020

L'importanza della percezione corporea all'interno della pratica


Perché pratichiamo?


Volendo rispondere in maniera più filosofica e tradizionale la soluzione ci viene fornita dal Maestro Patanjali:


“Yoga è arresto delle modificazioni mentali (o della coscienza)”


E’ quindi importantissimo capire che l’obiettivo dello Yoga, ormai in occidente sempre più orientata sulla pratica delle posture, asana, è quello di lavorare sulla nostra mente.


Sicuramente avremo anche tanti benefici a livello corporeo ma perché Patanjali parla solo della mente?


Prendiamo questa domanda per poter introdurre una riflessione.


Chi o cosa muove il nostro corpo?


I nostri muscoli vengono attivati da segnali nervosi che viaggiano sui nervi e che vengono gestiti e generati dal nostro sistema nervoso centrale.


Quindi in definitiva torniamo a parlare della mente.


Introduciamo ora due concetti molto importanti che ci permettono di poter differenziare qualitativamente una pratica.


Questi due concetti sono:

• Schema corporeo

• Immagine corporea


Iniziamo con il definire lo Schema Corporeo: rappresentazione cognitiva della posizione del corpo nello spazio.


Questo si sviluppa e si consolida grazie all’organizzazione delle sensazioni relative al proprio corpo che percepiamo grazie ai nostri diversi recettori (parleremo di questi in un prossimo articolo).


Definiamo invece l’Immagine Corporea: rappresentazione soggettiva che ognuno ha del proprio corpo.


Già solo dai primi due minuti di pratica, nel caso specifico inizieremo la pratica in piedi facendo assumere la posizione Tadasana, possiamo accorgerci di varie compensazioni posturali nello schema corporeo dei nostri allievi.


Una spalla più bassa di un’altra, il peso spostato indietro con le punte dei piedi poco aderenti al tappetino, il peso spostato più su un piede rispetto all’altro, una leggera rotazione del busto rispetto alla direzione dei piedi, leggera rotazione della testa in relazione alla direzione del petto, etc…


Fino a qua tutto naturale, studiando posturologia si comprende abbastanza in fretta che non esiste una postura uguale tra due diverse persone, è una caratteristica prettamente personale…


ma il problema è cercare di capire quanto queste compensazioni posturali, che compongono il nostro schema corporeo, siano coincidenti con l’immagine corporea che ci siamo creati di noi stessi.


Nella maggior parte dei casi se proviamo a dire ad una persona che ha una spalla più alta di un’altra ci sentiremo rispondere che ci stiamo sbagliando; fino a che davanti alla evidenza non riusciranno a credere ai loro occhi…


Perché?


Perché lo schema corporeo molto difficilmente coincide con l’immagine corporea.


E’ quasi certo che se facciamo assumere una corretta posizione ortostatica ad un allievo questo ci dirà subito di non sentirsi bene in quella posizione, gli risulterà scomoda da mantenere…


questo perché la sua muscolatura non è abituata a stabilizzarsi in questa posizione e soffre nel doverla mantenere e anche perché non coincide con la sua immagine corporea, non si sente a suo agio.


Questo crea una grande difficoltà di approccio alla pratica non permettendo di imparare a conoscere il proprio corpo attraverso l’esperienza e le percezioni delle sensazioni che esso ci restituisce.


Sarà quindi importante ampliare la nostra esperienza fisica attraverso una metodica che sia in grado di far avvicinare la nostra immagine corporea al nostro schema corporeo attraverso le seguenti caratteristiche:


1. Esperienza fisica, ovviamente senza non ci sarebbe pratica

2. Consapevolezza, ogni movimento sotto il completo controllo

3. Osservazione, osservazione dall’interno (che in un secondo momento potrà ampliarsi ad una osservazione anche dall’esterno)

4. Correzione, imparare a correggere sé stessi è sicuramente un duro traguardo da raggiungere che necessita di uno scrupoloso lavoro insieme ad un maestro


Proviamo a prendere come esempio quindi la posizione Tadasana…


In questa posizione dovremmo cercare di allungare la colonna vertebrale attraverso la spinta del vertice del capo verso l’alto, grazie all’aiuto di tutti i muscoli del corpo tenuti sotto controllo e quindi in tensione, e ricercare la miglior collaborazione possibile tra la muscolatura frontale e quella posteriore del corpo riuscendo quindi ad utilizzarlo in modo armonioso ed equilibrato ma…


di frequente vediamo il torace spinto in avanti alla ricerca di una maggiore apertura del petto a discapito di una maggiore tensione muscolare nella catena posteriore e di un conseguente accorciamento.


Spesso durante le lezioni ricordiamo di portare l’attenzione alla pianta dei piedi per analizzare la propria postura attraverso il loro ascolto…


stessa pressione su entrambi i piedi… spesso portiamo più peso sulla nostra gamba dell’equilibrio…


stessa pressione su punta del piede e tallone… quasi sempre la catena posteriore è molto contratta portandoci con il peso indietro.


Ecco quindi un esempio di come pensiamo di fare bene una posizione, poiché crediamo di essere coscienti del nostro corpo, ma troppe parti di esso sono lasciate al comando degli automatismi della mente che eseguono le nostre stereotipie posturali.


Questo deriva ovviamente da una parziale consapevolezza e capacità di ascolto del nostro corpo.


A questo punto DEVE intervenire il maestro…


Ripercorrendo, quindi, a ritroso le caratteristiche elencate prima dovremo necessariamente trovare:


4. la correzione del Maestro, vocale o sensoriale, che dovrà necessariamente essere precisa e incisiva in modo che abbia l’effetto più profondo possibile

3. l’osservazione, una volta che la posizione viene riportata sulla giusta direzione dalla correzione il lavoro passa al praticante che dovrà imparare a osservare, sentire, percepire quale fosse la posizione raggiunta da soli e quali correzioni invece sono state introdotte dal Maestro

2. la consapevolezza, una volta sentita, percepita la corretta posizione ed averla osservata dall’interno, il praticante dovrà sforzarsi alla ricerca della consapevolezza e del lavoro fondamentale di riportare la propria immagine mentale più vicina possibile allo schema corporeo che attraverso l'esperienza fisica verrà anch'esso modificato

1. l'esperienza fisica, la pratica e la sua ripetizione porterà il praticante alla sua perfezione.


La costanza nella pratica e la ripetizione del movimento porteranno così alla riunificazione del nostro corpo immaginato (immagine corporea) con il nostro  corpo vissuto (schema corporeo), che in costante modificazione attiva grazie agli influssi della pratica stessa.


Nella pratica dello Hatha Yoga siamo alla ricerca di quell'arresto delle modificazioni della mente, che solo ci può condurre alla conoscenza di noi stessi, partendo dal corpo grossolano.


Proprio attraverso la sadhana quotidiana il corpo, sperimentando la piena consapevolezza di se stesso nell'istante, dona a manas la possibilità di acquietarsi, sentendo e percependo davvero il veicolo psicofisico.


Tuttavia per arrivare a questo miglioramento abbiamo bisogno di un maestro in grado di poterci donare questa possibilità...


così come è sempre stato nella tradizione di questa antica e sacra disciplina.

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Lo studio è stato recentemente pubblicato sul giornale Nature Scientific Reports e fa parte della tesi di dottorato di Vinje sull’argomento. Il battito del cuore ed il sonno promuovono il flusso Alcune sostanze di scarto si accumulano nel cervello a causa di disturbi cerebrali funzionali. Un esempio ben conosciuto è il betamiloide, il quale si accumula in forma di placche quando una persona ha la malattia di Alzheimer. Ma molto non è ancora compreso su come il cervello si sbarazzi dei prodotti di scarto. Nel 2013, tuttavia, alcune ricerche hanno scoperto che il liquido cerebrospinale gioca un ruolo nella pulizia del cervello. Esso fluisce nel cervello lungo i piccoli spazi attorno alle arterie e lava via il materiale di scarto attraverso il tessuto cerebrale stesso. “ Questo ha davvero attirato l’attenzione della gente ” afferma Vinje. Il modo in cui il fluido cerebrale fluisce può determinare quanto efficientemente i materiali di scarto possono venire eliminati. Il flusso è guidato dal battito cardiaco, tra le altre cose, perché le arterie del cervello si espandono ad ogni battito. Inoltre, ricerche precedenti suggeriscono che il flusso aumenta mentre dormiamo. Pressioni cerebrali misurate per un lungo periodo Vincje è stato nominato studente dell’anno in Ingegneria nel 2016 da Universum quando era uno studente presso la facoltà di matematica e scienze naturali dell’Università di Oslo. Il suo master era sui calcoli dei flussi di fluido nel cervello. Precedenti studi di risonanza magnetica hanno dimostrato che la respirazione può influenzare il flusso del liquido spinale. “ Ma questi studi sono stati limitati a brevi periodo di tempo, a causa dei limiti della tecnologia delle a risonanza magnetica ” afferma Vinje. Lui e suoi colleghi hanno avuto accesso alle misurazioni della pressione del cervello dei pazienti con idrocefalia, o acqua nel cervello, che erano al Rikshospitalet, all’ospedale universitario di Ulleval. Queste misurazioni vengono eseguite di routine per determinare quali pazienti necessitano di un intervento chirurgico. Il vantaggio, per le ricerche di Vinje, è che le letture della pressione si estendono per più di 15 ore. Respiro contro battito cardiaco Due sensori di pressione erano posizionati in differenti parti del cervello del paziente, dando 200 misure di pressione al secondo. Da queste misurazioni, Vinje e i suoi colleghi, furono in grado di calcolare il flusso del liquido cerebrospinale usando l’equazione di Navier-Stokes . Hanno calcolato poi la percentuale dei cambiamenti nel flusso dovuti alla respirazione in relazione ai battiti del cuore. Le misurazioni hanno mostrato che le pulsazioni di pressione sono tre volte maggiori per le pulsazioni cardiache rispetto al respiro. “ Sebbene i cicli delle pulsazioni di pressione siano dominati dalle pulsazioni del cuore, la velocità del fluido è tanto influenzata dal respiro che dal battito cardiaco. La quantità di volume del liquido cerebrospinale che pulsa dentro e intorno al cervello è di gran lunga maggiore per un ciclo respiratorio che per un battito cardiaco ” ha detto Vinje. Il volume che è stato spostato durante un ciclo di respirazione era più di quattro volte il volume mosso da una battito cardiaco. Questo perché ogni inalazione dura più a lungo di ogni battito cardiaco, con circa 15 inalazioni al minuto contro 60-70 battiti al minuti, spiega. Respirazione profonda meglio di quella rapida Vinje spiega perché un minor numero di respiri profondi ha un impatto maggiore sul flusso di liquido cerebrale rispetto alla respirazione più veloce e superficiale. In sostanza, le onde più lunghe (onde cerebrali) che risultano da respiri profondi possono trasportare più volume. Vinje le confronta con le onde dell’oceano che colpiscono la terra. “ Immagina una spiaggia con della immondizia. 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Ora prova a pensare, se tutto questo può accadere facendo fare dei semplicissimi esercizi respiratori (con risultati ben poco differenti tra persone normodotate e persone con patologie) immagina cosa può provocare all'interno del corpo umano una respirazione altamente allenata attraverso le tecniche di respirazione (pranayama) che lo Yoga ci insegna. Nei nostri corsi ( primo anno di formazione in 250 h che trovi in forma annuale e residenziale) analizziamo in maniera approfondita ogni pranayama in modo da poter prendere il controllo del nostro respiro che ci porta ad unire il mondo esterno con quello interno. Potete leggere l’articolo originale cliccando QUI
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